Arnaldo Pomodoro
Rotante primo sezionale n. 2, 1966
fiberglass, ø 120 cm
Quello che distingue – e salva, credo – l’opera di Arnaldo dal decadere a merce preziosa preda della civiltà dei consumi è una sua oscura e istintuale consapevolezza di essere tramite d’un’idea, di agire seguendo un impulso autentico che rimane tale proprio perché s’imposta e s’appoggia sul rude lavoro. Non intendo qui fare del sentimentalismo esaltativo dell’aspra lotta manuale per la vita; però un fatto è certo: lavorando direttamente le sue sculture – come gli ho visto fare sin dai tempi ormai remoti dei suoi primi gioielli, dei negativi in terra, delle sculture bidimensionali e informali, su su, fino alle grandi composizioni volumetriche, alle sfere corrose, alle colonne spaccate, ai recentissimi Rotanti di impeccabile acciaio – Arnaldo ha potuto ogni volta riscattare con il suo lavoro l’immancabile mercificazione delle sue opere: si è salvato – attraverso un primitivo e spontaneo simbolismo personale – dalla mera eleganza della forma fine a se stessa.
[…]
Dopo una prima lunga fase legata ancora alla sensibilità della materia, alla negativizzazione dell’immagine, doveva esplodere una seconda fase, quella che ha già visto la realizzazione di numerose opere che vanno dal Rotante al Rotante massimo al Rotante a fori e canali, opere in parte ancora in bronzo lucidato, in parte in acciaio inossidabile, in plexiglas; quasi sempre prive di ogni riferimento alle superfici corrose o alle sfere spezzate di ieri, e dove invece l’elemento “negativo”, “distruttivo”, è costituito dalle aperture, dagli spazi circolari beanti.
da: G. Dorfles, in Libro per le sculture di Arnaldo Pomodoro, Milano, Gabriele Mazzotta editore, 1974, pp. 189-191.
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