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I Bambini donati da Magdalena Abakanowicz alla Fondazione appartengono a una serie di suoi lavori nei quali l’artista dà forma a figure vagamente umane e decisamente inquiete. I prodromi di queste immagini corrono indietro verso una Polonia presocialista e coinvolta nei fatti di sangue della seconda guerra mondiale. La Rivoluzione importata dai bolscevichi fu soprattutto, infatti, una conseguenza di quel conflitto che Hitler volle far nascere proprio con una prima aggressione al corridoio di Danzica. Si narrava a quel tempo che il dittatore avesse voluto fare arrivare dalla Polonia in Germania un camion di ragazzi dal viso ariano, orfani o pretesi tali, giovani rapiti alla loro terra per diventare dei perfetti tedeschi. Ma la brutalità della vita e delle circostanze volle che nella notte di gelo che si interpose durante il viaggio quegli splendidi esemplari umani si gelassero. La mattina seguente, aperto il camion, ne uscirono i corpi rigidi cadendo uno sull’altro come birilli. Questa scena, anche se solamente immaginata sulla scorta del racconto di altri, divenne un seme per le colonie di Ragazzi, Bambini, Puellae (in italiano e latino nei titoli) e in generale per i plotoni di individui inermi, rosi dalle intemperie, realizzati inizialmente in fibra naturale e poi in molte altre materie, che hanno una parte essenziale nella scultura di Abakanowicz. Li vediamo come eserciti di stracci o come morti viventi, come esseri non più integri – spesso il loro corpo non ha testa o manca di qualche parte periferica. […] Nella serie di sculture di Magdalena, le figure seriali non rappresentano degli ebrei che vanno verso le camere a gas né soldati di ritorno dalla sconfitta, non sono narrazioni di un episodio ma raccontano il patimento di ogni guerra e di ciascuna situazione in cui sussistano aspetto dell’imposizione e della violenza sui deboli. Sono masse o piuttosto grappoli di individui che ricordano ogni possibile olocausto, dalla shoah degli ebrei agli internati del comunismo fino ai forzati delle guerre di religione. Sono anche persone sole, in fuga, prive di qualsiasi cosa che non sia la materia che li compone. da: Magdalena Abakanowicz. Space to Experience, catalogo della mostra, a cura di A. Vettese, Milano, Fondazione Arnaldo Pomodoro, 2009, pp. 39-40

Magdalena Abakanowicz
Bambini
, 1998-2007

ceramica, 38 × 109 × 25 cm ciascuno (7 figure)

I Bambini donati da Magdalena Abakanowicz alla Fondazione – al termine della sua mostra personale nel 2009 – appartengono a una serie di suoi lavori nei quali l’artista dà forma a “figure vagamente umane e decisamente inquiete. I prodromi di queste immagini corrono indietro verso una Polonia presocialista e coinvolta nei fatti di sangue della seconda guerra mondiale. La Rivoluzione importata dai bolscevichi fu soprattutto, infatti, una conseguenza di quel conflitto che Hitler volle far nascere proprio con una prima aggressione al corridoio di Danzica. Si narrava a quel tempo che il dittatore avesse voluto fare arrivare dalla Polonia in Germania un camion di ragazzi dal viso ariano, orfani o pretesi tali, giovani rapiti alla loro terra per diventare dei perfetti tedeschi. Ma la brutalità della vita e delle circostanze volle che nella notte di gelo che si interpose durante il viaggio quegli splendidi esemplari umani si gelassero. La mattina seguente, aperto il camion, ne uscirono i corpi rigidi cadendo uno sull’altro come birilli. Questa scena, anche se solamente immaginata sulla scorta del racconto di altri, divenne un seme per le colonie di Ragazzi, Bambini, Puellae (in italiano e latino nei titoli) e in generale per i plotoni di individui inermi, rosi dalle intemperie, realizzati inizialmente in fibra naturale e poi in molte altre materie, che hanno una parte essenziale nella scultura di Abakanowicz. Li vediamo come eserciti di stracci o come morti viventi, come esseri non più integri – spesso il loro corpo non ha testa o manca di qualche parte periferica. […] Nella serie di sculture di Magdalena, le figure seriali non rappresentano degli ebrei che vanno verso le camere a gas né soldati di ritorno dalla sconfitta, non sono narrazioni di un episodio ma raccontano il patimento di ogni guerra e di ciascuna situazione in cui sussistano aspetto dell’imposizione e della violenza sui deboli. Sono masse o piuttosto grappoli di individui che ricordano ogni possibile olocausto, dalla shoah degli ebrei agli internati del comunismo fino ai forzati delle guerre di religione. Sono anche persone sole, in fuga, prive di qualsiasi cosa che non sia la materia che li compone”.

da: Magdalena Abakanowicz. Space to Experience, catalogo della mostra, a cura di A. Vettese, Milano, Fondazione Arnaldo Pomodoro, 2009, pp. 39-40.

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